Whistleblowing

Dlgs n. 231/2001

L’istituto del whistleblowing, termine che deriva dall’inglese “to blow the whistle” ovvero “soffiare il fischietto”, con riferimento all’azione di un soggetto che intende richiamare l’attenzione su una condotta irregolare o illecita, ha origine lontane nella cultura anglosassone: già nel 1863 negli Stati Uniti con il False Claim Act (o Legge Lincoln) si favoriva con una ricompensa chi denunciava frodi ai danni del governo federale e, probabilmente, ancora prima in Inghilterra altri analoghi precedenti possono rinvenirsi. Ralph Nader – attivista e politico americano impegnato, fra le altre cose, nella difesa dei diritti dei consumatori, nel 1972, in una conferenza sulla “Responsabilità professionale” definisce e valuta il whistleblowing “l’azione di un soggetto che segnala una condotta irregolare ritenendola lesiva dell’interesse pubblico, più importante dell’interesse (minore) della specifica organizzazione al cui servizio è legato l’autore della predetta irregolarità”.

In Italia l’istituto del whistleblowing è introdotto, per la prima volta sul piano giuridico, dalla Legge n. 190/2012, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione. Essa, intervenendo in modifica del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 1651 ha introdotto la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (art. 54-bis Dlgs. 165/2001) ma è solo con la Legge 30 novembre 2017, n. 179, che lo strumento delle segnalazioni acquisisce specifica portata e dignità, ampliandone la forza e l’efficacia nel settore pubblico (aggiornando ulteriormente il già citato art. 54-bis Dlgs. 165/2001) e intervenendo anche nei rapporti di lavoro del settore privato.

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